Alla ricerca dello scoglio perfetto

Alla ricerca dello scoglio perfetto

Proust, su questo argomento, avrebbe potuto scrivere trentotto tomi.
Io invece sarò breve. Brevissima.
O quasi.

A Pantelleria non esistono spiagge.
Che nessuno si illuda.
Qualche piccola baia c’è, ma bisogna conquistarla in barca: minuscola, segreta, preziosa come una conchiglia trovata per caso.
Tutto il resto è roccia.

A volte aguzza, buona per fachiri volenterosi e innamorati delle pose improbabili.
Più spesso ospitale, ma sempre pronta a ricordarti che qui sei tu l’ospite, non la roccia.
Portare un ombrellone? Si può fare. Basta trovare una fessura abbastanza gentile per accoglierlo e legarlo come un aquilone testardo che non vuole restare a terra.

Pantelleria è così: dura e insieme generosa.
Arrivi nel punto che hai scelto, posi la borsa, e prima ancora di sederti osservi la luce, la pendenza, l’odore del vento.
E poi ti sistemi.
Ma non illuderti di restare fermo: la giornata qui è un piccolo pellegrinaggio tra sole e ombra, acqua azzurra e blu profondo, tuffi improvvisati e piedi sospesi nell’acqua fresca.
«Più in là i tuffi vengono meglio» — e così ci si sposta di nuovo.

La bellezza, a volte, è proprio questa: non sdraiarsi comodi e immobili, ma inseguire quel punto perfetto che ti fa sentire, per un attimo, al posto giusto nel mondo.
Anche se significa sedersi scomodo, piegare ginocchia e schiena come in un gioco da bambini.

E la gioia più grande?
Tra tutte (potrei elencarne una lista lunga come il mare): non avere la sabbia da togliere, soprattutto quei granelli ostinati che si nascondono tra le dita dei piedi e ti ricordano, a sera, che sei stato lontano da casa.

Alla ricerca dello scoglio perfetto, forse per tutta la vita.

 
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