Se volessi “condire” Pantelleria, partirei dal suo stesso nome. Patellaria, dal greco, richiama un piatto concavo: un contenitore pronto ad accogliere ingredienti e sapori. E allora immagino quest’isola come una pietanza da condividere, una ricetta viva che ciascuno di noi può arricchire con ciò che più ama.
Nel mio piatto ci sono amici, il sole che accarezza la pelle e il mare che avvolge ogni pensiero. C’è un dammuso che sa di intimità e ospitalità, una casa di pietra nera che ti fa sentire parte dell’isola. Ci sono i capperi, piccoli eppure potenti, capaci di trasformare anche una semplice insalata di lenticchie, profumata di coriandolo o di prezzemolo, in un’esperienza di Pantelleria autentica.
Sui muri compaiono i gechi, silenziosi guardiani che divorano le zanzare, mentre al vento sventolano i parei ancora umidi di mare. La giornata inizia con una colazione immersa in una luce sorprendente, quella che annuncia un nuovo giorno come fosse un miracolo quotidiano, e prosegue con il sale che si asciuga sulla pelle, lasciando addosso l’impronta del sole.
E poi, come in ogni ricetta che si rispetti, c’è un ingrediente piccante: l’incontro inatteso. Non importa se sia uno sguardo, una conversazione o una persona speciale. È quell’attimo imprevisto che rende Pantelleria un piatto unico, mai uguale a se stesso, capace di sorprendere ogni volta.
Pantelleria è così: un’isola da condire con i propri desideri, da gustare con i sensi e con l’anima, un piatto che non si finisce mai davvero.