Pantelleria insolita: alla scoperta di Punta Li Marsi (con autoironia)

Pantelleria insolita: alla scoperta di Punta Li Marsi (con autoironia)

Punta Li Marsi (spoiler: è meglio del Pilates)
Chi è stato a Pantelleria la conosce.
Chi non c’è stato beh, si è perso una perla.
Ma tranquilli, non è (ancora) troppo tardi per recuperare.
Punta Li Marsi è a sud-est dell’isola, e già solo per questo suona esotica. Di notte un piccolo faro la illumina con discrezione, tipo abat-jour romantica. Ma io vi consiglio spassionatamente di andarci di giorno.
Perché? Troppe ragioni. E siccome non sono una guida turistica ma una blogger disadattata, ve le lascio scoprire da soli.
C’è un accesso al mare comodo, civile, quasi urbano. E poi c’è l’alternativa: il percorso per quelli che – come diciamo a Palermo – “se la fidano” (n.d.r. sono capaci).
Io? Non me la fido. Non me la sono “mai fidata”.
E non chiedetemi perché a Palermo diciamo così, perché se c’è una cosa che non capirò mai, dopo la moda delle ciabatte con i calzini, è proprio questa.
Ovviamente, l’accesso più impervio è anche il più bello, il più solitario, il più da “metto la foto su Instagram ma non dico dove sono”.
Ieri eravamo in tre, circondati da un migliaio di pesci. Un mare blu “sicurezza”, non quello blu scuro che ti fa chiedere se sotto c’è un sottomarino russo. E sopra di noi, il piccolo faro che vegliava, come un custode silenzioso o come Alexa quando le parli da sola.
Se il maestrale ha fatto il suo giro nei giorni precedenti, si formano delle pozze d’acqua trasparente che sembrano spa naturali. Ti tuffi prima nell’acqua fredda stile crioterapia, poi ti immergi lì dentro e ti senti come se ti stessero abbracciando con una coperta termica fatta d’amore.
Ora, per raggiungere lo scoglio dei “fidati”, io devo prepararmi: tre giorni di squat, uno di meditazione trascendentale e almeno un’ora passata a convincere me stessa che “ce la posso fare”.
Ma, ripeto: sono quella senza equilibrio né senso della posizione. In un’altra vita ero probabilmente un’anguilla disorientata.
Però una cosa la so: la terra non è il mio habitat. L’acqua sì.
Mi tuffo, metto la maschera, e che sia a temperatura tropicale o glaciale, entro in modalità sirena. Nuoto. Tanto.
Resto vicina alla costa, ma poi vengo rapita dal richiamo del blu, esploro calette che sembrano dipinte da un dio artista, e mi dedico alle mie tre attività acquatiche preferite: osservare i pesci, schivare gli scogli e disappannare la maschera (momento cruciale, sempre).
La sensazione? Come sbarcare ogni volta su un pianeta sconosciuto, senza nemmeno passare dalla dogana.
Ovviamente, quando esco dall’acqua ho perso:
la sensibilità delle dita,
la nozione del tempo,
l’eventuale compagnia, che si è arresa all’attesa.
Ma secondo me, se un posto ti fa dimenticare tutto questo è più terapeutico di qualsiasi seduta dallo psicologo.
E, nel frattempo, non sprechi nemmeno parole.








 
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