Di paesaggi panteschi e pomodoro pelato

Di paesaggi panteschi e pomodoro pelato

Palermo corrisponde alla coniugazione del verbo DOVERE nella peggiore delle sue accezioni.
Palermo è il dovere fine a se stesso.
Quello più gramo, con un obbiettivo troppo lontano perché’ io riesca a vederne la coda.
Palermo è rientrare dentro una marcia inutile e sfilacciata. É molto triste disamorarsi di un luogo, quasi più triste di quel sentire, a fitte, che un amore tra due persone sta per finire.
É ugualmente inesorabile e diventa “distanza incolmabile”, all’improvviso, in un giorno apparentemente come gli altri, ti svegli e capisci che quel sentimento ha ceduto il posto all’indifferenza, alla noia, all’intolleranza.

I miei giri larghi si incanalano poi in metafore brevi, per fortuna.
E anche abbastanza ridicole.
Io, di mio, non ho mai amato fare la spesa, è una cosa che mi annoia nell’intimo.
Sarà che ormai sono diventata tragicamente selettiva, sarà che il cibo (che è sostanza) non ha mai avuto uno spazio di piacere incarnato tra quelli che costellano la mia vita.
Mi nutro di ben altro, ma non crediate che sia tutto nobile.
Di fatto, per me, fare la spesa è una gran rottura di balle.

Diverso è andare a fare la spesa a Scauri, non è che io ci vada saltando e cantando per il solo fatto di trovarmi a Pantelleria.
Resta sempre una gran scocciatura.
Però, e questo però è fatto di percezioni sottilissime, per andare da casa al paesino io devo fare una decina di minuti di strada in auto attraversando un pezzetto di isola.
Così scendo piano dalla strada che dalla Cuddia mi porta a valle e nel frattempo guardo il mare, che mi accompagna per buona parte alla mia sinistra e nel frattempo incrocio una vallata.
A destra si ergono Monte Gibele e Montagna Grande, poi i tanti piccoli appezzamenti dove si annida il cappero, la piccola vite, l’orto faticosamente lavorato, i muretti a secco ( che distratta evito sempre per un soffio) e, infine, in fondo quel minuscolo agglomerato di case che è Scauri dove per ciascuno è un saluto, un sorriso e mai nessuna invadenza.

Palermo è: percorro un isolato, attraverso via della Libertà ed entro in un supermercato sotterraneo aperto ventiquattr’ore su ventiquattro, come se il pomodoro pelato smaniasse perché ci si incontri a mezzanotte. Poi tanti visi lividi che riconosco e non riconosco e che non mi fanno alcuna compagnia.

Scelgo Pantelleria, gente, perché la finta fretta che insegue l’uomo che ormai cammina su una fune di acciaio tesa tra due palazzi di cemento armato mi fa credere che il mondo sia infelice.
Quando, invece, la mia lenta marcia verso Scauri mi dice ancora, e me lo sussurra, che il nostro tempo può essere ancora lento e felice.

Foto di Giovanni Matta

 
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