La casa di Khamma

La casa di Khamma

Oggi sono andata a vedere un dammuso che è stato messo in vendita.
Una struttura imponente in una delle zone più note dell’isola.
Era la seconda volta che lo visitavo, la prima era accaduto lo scorso anno e non ricordo particolare emozione, se non una sensazione di grande vuoto nel vedere quelle stanze sgombre e scarne.
Lasciate, nella loro solitudine, da un tempo ormai troppo lungo.

Oggi il mio stato d’animo doveva essere diverso.
Il dammuso, spazioso e articolato, ho scoperto che contiene tracce evidenti di chi vi ha vissuto e lo ha amato.
Così, d’improvviso, la casa (un anno fa abbandonata e priva di vita) si è animata della gente che la viveva.

Ho creduto di potere vedere l’andirivieni dal soggiorno verso l’ampio frigorifero di una numerosa famiglia: chi cerca qualcosa da sgranocchiare, il bambino che prende la bottiglia dell’acqua fresca e la donna che vi ha lasciato dentro l’impasto a riposare prima di poterlo lavorare.
Ho sentito il vociare dei bambini, mentre si muovono tra giardino e casa, incuranti di un pavimento ancora umido mentre una donna li riprende gridando loro che ha appena passato lo straccio e le loro impronte sono di nuovo evidenti sul pavimento bianco ancora fresco di acqua e candeggina.
Ho immaginato l’uomo che sonnecchia sul dondolo, incurante delle mosche che gli si posano addosso e qualcuno fermo e assorto davanti alla grande libreria mentre sceglie cosa cominciare a leggere.
Ho visto lo stesso estrarre tre libri, dalle pile orizzontali che coprono ormai i dorsi verticali, l’ho immaginato dirigersi al di là dell’arco che porta verso il giardino, scansare i bambini che giocano ad inseguirsi, adagiarsi sull’amaca mentre distrattamente sfoglia uno ad uno i tomi, giusto per capire da quale cominciare con la lettura.
Ho avvertito il gorgoglio del sugo fresco dentro una grossa pentola, mentre alcune donne sfaccendano sul grande tavolo, al centro della stanza, svolgendo e avvolgendo con lentezza un impasto appena spianato che profuma appena di lievito.
Ho intravisto gli schizzi del sugo scoppiettante perdersi su delle piastrelle rosso corallo di una cucina anni ’70 che dà un’impronta indelebile a tutta la casa., che la racconta e che ti lascia l’odore forte dell’azolo blu per illuminare le lenzuola bianche che strattonate dal vento sbattono tra loro.

Oggi, ad un anno di distanza, ho salutato quella casa che era ancora viva e in movimento e come accade con qualche persona, guardandomi indietro per l’ultima volta, le ho augurato di trovare compagni nuovi e diversi cui dispensare il favore e la magia di un luogo che so essere stato profondamente amato e che mi illudo possa tornare ad essere un luogo dove il vociare di uno copra quello dell’altro, mentre un uomo, in silenzio, legge su un’amaca. 

 
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