La grotta dei briganti

La grotta dei briganti

(Un po’ di storia, un po’ di rumore e qualche allusione ai piemontesi, nostri meravigliosi ospiti sull’isola.
Il tutto per quasi nulla)
Sul lato ovest dell’Isola di Pantelleria, sul crinale di Montagna Grande, attraversato da un bosco che profuma di favole e lucciole notturne, si trova un antro profondo e oscuro.
Questa isola riesce sempre a spiazzare, è un’erma bifronte.
In questo caso, dentro ad un paradiso che si chiama Bosco delle Fate (di cui tratteremo in altro post), sulla Montagna più alta dell’isola si trova la famosa Grotta dei Briganti.
La cavità formatasi grazie a colate laviche vecchie di circa TRENTAMILA anni è depositaria di una storia singolare e inusuale (ma questa isola è un contenitore colmo di vissuti e vicende tutte degne di narrazione).
Nel 1861 Pantelleria aveva più o meno lo stesso numero di abitanti di oggi, sembra non sia mai stata investita da crescita o diminuzione demografica.
E i fenomeni migratori viaggiano sia in entrata che in uscita.
Nel caso specifico, è di un arrivo che vi parlo: nel 1861 tre, dico tre, piemontesi (“compari “dei MILLE al seguito di Garibaldi) sbarcano sull’isola per cacciare i Borboni che spadroneggiavano da tempo nel Regno delle due Sicilie.
Sono TRE ma fanno un certo proselitismo e come è uso nel nostro Sud la popolazione dell’isola si spacca in due opposte fazioni, tra chi vuole l’annessione al Regno d’Italia e chi vuol restare fedele alle Due Sicilie.
Fortunato Ribera, esponente di spicco della società isolana e appartenente a ricca famiglia terriera, viene designato “senza colpo ferire” dai piemontesi, Governatore ad acta, sicché i tre, certi di aver portato a compimento la loro missione se ne tornano a casa “balzellon balzelloni”.
Ma i Panteschi sono testardi e un poco “sciarrieri” (n.d.r. litigiosi) e alla partenza dell’autorità Piemontese montano disordini, organizzano risse e tafferugli per questioni “morte e sepolte”, riaprono antiche faide e con la scusa delle fazioni, approfittando del caos, pareggiano conti vecchi in nome e per conto della immutabile legge del taglione.
Ma, dopo solo due mesi, il GOVERNATORE Signor Fortunato (mica tanto!) Ribera viene atterrato da una schioppettata partita da mano rimasta anonima in “secula seculorum”.
Nel frattempo la fronda antiborbonica si era allargata e furono additati come “vili assassini” del fu Governatore i tre fratelli Ribera, che nonostante fossero nipoti consangunei del “de cuius”, per il solo fatto di essere membri del partito filo borbonico, pagarono pegno.
I panteschi “ostinati e contrari”, mentre i Ribera si rifugiavano a Malta per organizzare con calma la liberazione dall’oppressore, ordivano e tessevano trame, il fronte borbonico diventava folto e insidioso al punto tale che i NORDISTI furono costretti ad imporre un ferreo coprifuoco e ammazzatine “a muzzo” per sedare gli animi tumultuosi.
Da Malta tornò solo un Ribera che trovatosi in mezzo a questo “fuoco grande” (rappresaglie e isolamento di Pantelleria dalle rotte commerciali) raccolse un manipolo di fuoriusciti (scontenti, arrabbiati, rissosi e cocciuti) che si andarono a rifugiare nella famosa GROTTA per organizzare la resistenza all’invasore.
Nel tentativo di disinnescare micce, nel 1863 fu promulgata la legge Pica che diceva che qualora fossero stati rintracciati, sul suolo pantesco, numero tre (dico tre) uomini armati, costoro sarebbero stati immanentemente fucilati.
Non fu abbastanza, i panteschi non desistevano.
Il popolo del nord pertanto inviò uno dei suoi migliori uomini, il colonnello Eberhard e altri quattrocento uomini che nel frattempo si aggiunsero ad altri quattrocento panteschi raccattati ‘ob torto collo”.
I “briganti”, rifugiati nella profonoda Grotta, furono traditi da un anonimo e circondati dalle truppe piemontesi, solo dopo estenuanti trattative, si arresero a patto che a nessuno di loro fosse inflitta la pena capitale.
Costoro, incatenati, furono costretti a sfilare per il paese, esposti al pubblico ludibrio.
Di tutti loro solo tre subirono la pena maggiore e tra questi un Ribera.
Di certo vi furono delle altre vittime, di cui non si conosce né il numero, tanto meno il nome.
Non vi è data certa del giorno in cui la fiera Pantelleria venne definitivamente espugnata e annessa al Regno D’Italia, certa storiografia dichiara si sia trattato di un arco di tempo di circa tre anni.
“MINCHIA, tre anni. Non ci pozzo pensare”, si prega di recitarlo con inflessione sicula.
N.B. Citazione dal film “Mediterraneo” del regista Gabriele Salvatores.
Foto di Giovanni Matta
 
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