Liberi tra chine e pendii: esplorando la Serraglia di Pantelleria

Liberi tra chine e pendii: esplorando la Serraglia di Pantelleria

Appena prima dell’ingresso a Rekhale, sulla sinistra, vi è una strada che porta all’interno della Piana della Ghirlanda. Il suo nome è via Serraglia.
Dallo spagnolo “sierra” che è un concatenarsi di montagne.
La “Serragghia” pantesca, dentro e fuori il gioco dell’etimologie, è anche lei un insieme di chine e pendii.

Appena imboccata la strada, che attraverso le più svariate scoperte, ti porta fin “Dietro l’Isola” (altro nome che acquisisce un senso solo se si conosce Pantelleria) si capisce di essere entrati in un luogo approssimativamente ignaro della nozione spazio-tempo.
Non fosse che ogni stagione porta nuovi colori, quei luoghi attraversano i secoli.
Lo fanno i resti punici, gli alberi millenari e la morbidezza delle colline che accompagnano dolcemente il tuo cammino lento.
La Serraglia è uno di quei luoghi che esiste nel “qui e ora”.
Ad ogni ora del giorno è differente: nella sua luce, nei colori e in quella sua ampiezza che lascia libero il pensiero di calibrarsi a seconda della curva che imbocchi o del sentiero che percorri.

Nel mezzo di tanta magnificenza (la mia parola vi risuonerà altisonante ma corrisponde perfettamente al varco che si aprirà innanzi ai vostri occhi nel momento in cui attraverserete la vallata) esistono piccole strade sterrate che si inerpicano, senza troppa fatica, nell’acciottolato di trazzere che segnano un inizio e, per i tanti che non conoscono perfettamente Pantelleria, non è neanche detto che segnino una fine.
Piuttosto, talvolta, come nelle migliori regie abbracciano un loop (un moto circolare) che fa di un’andata un ritorno e viceversa.

La Serraglia è fatta di pezzetti, per raccontarla tutta ci vorrebbe grande sapienza, un vocabolario adatto e una sensibilità sopraffina. Poi molto molto tempo.

Ma è un piccolo ritratto quello che oggi vorrei dipingere.
Senza nessuna presunzione se non quella dell’innocenza dei miei occhi la prima volta che hanno ammirato questo spettacolo.

Percorsa per un paio di chilometri da suo inizio sarà facile imbattersi, alla sinistra, in un viottolo non asfaltato che tende a salire, prepotente verso le colline.
Imboccatelo senza timore, ché a Pantelleria non si è mai perso nessuno.
E compiuta la salita ad un tratto sarà il paesaggio a dirvi STOP.
Fermatevi.
Davanti ai vostri occhi avrete una conca: tra rocce e filari di capperi.
Paesaggio soprannaturale costruito dal tempo e dall’uomo.
Mare a destra e a sinistra.
Aria che spira, a seconda dei venti, e che emette un sibilo lieve.
Tra pietre e filari, muschio e aromi non esiste spazio per molto altro.

Borges (forse) direbbe che resta un uomo che guarda se stesso mentre il resto guarda l’uomo.
E nulla più.

Foto di Giovanni Matta

 
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