Pantelleria in inverno: un racconto tra Sataria, dammusi e cieli incantati

Pantelleria in inverno: un racconto tra Sataria, dammusi e cieli incantati

Se a Natale fossi a Pantelleria saprei già come trascorrere la serata.
Ovviamente sto immaginando.
Ed è questa la grazia del fantasticare: non dover aderire alla realtà e lasciare che il pensiero si muova verso il verosimile.

La mia vigilia sarebbe fatta di piccoli ma precisi preparativi.
Vestirei come la temperatura richiede e preparerei uno zaino con un accappatoio, un contenitore pieno di dolcetti (alla malora il picco glicemico!), una bella bottiglia di rosso (a quel paese il colesterolo!) e un bicchiere di cristallo (che, ovviamente, arriverebbe rotto).
Fatto questo, al calare del sole mi avvierei verso Sataria, quando la luce è ancora penombra; giusto per non schiantarmi per terra in uno dei miei modi rocamboleschi, per poi essere ritrovata qualche giorno dopo.
Vorrei un cielo di quelli che sembrano pensati da un uomo, allenati da un’AI e rifiniti dal divino.

Scenderei gli scalini che portano alla grotta con la lentezza che mi contraddistingue.
Perché nulla vada perso e tutto possa essere annusato.
Raggiunta una vasca mi spoglierei colma di brividi che sanno di freddo e di emozione.
Recuperato il respiro, mi immergerei e tirerei fuori i cocci del bicchiere, la bottiglia e i dolcetti.
“Tristemente costretta” a bere dall’imboccatura, prenderei ogni attimo e me lo farei bastare per alcuni giorni a venire.

Terminata la quieta abluzione, farei ritorno al piccolo dammuso a Benimingallo: passo calmo, cuore colmo.
Breve doccia, stufa accesa e un libro tra le mani.

So per certo che il mattino mi sveglierebbe con una certa impazienza.
Mattino, “Dai, svelta, usciamo.”
Io, “Mattino, ma fa un freddo porco!”
Mattino, “Cammini e ti riscaldi”.
Mattino è perentorio.

Ho sempre ceduto alla logica (forse più ancora che alle emozioni), quindi non posso che vestirmi adeguatamente e uscire.
Giornata appena ventosa, colma di una luce che ti fa percepire i contorni di ogni cosa; le mani sono blu e i piedi non lo so, perché sono dentro le scarpe.
Comincio la salita verso la Piana del Barone e mi scaldo: posso tirare fuori le mani dalle tasche (così, se inciampo, ho almeno una possibilità di salvarmi la faccia).
Sorrido mentre faccio questi pensieri e cammino, e mi pare di sentire tutto: tutto quello che mi scorre dentro, dai pensieri al flusso del mio sangue ai vapori di questa Isola.

 
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