Cala Nikà, discese e “ascensioni”

Cala Nikà, discese e “ascensioni”

Cala Nikà.
“E vacci che è un paradiso”.
“Dicono che il sentiero per arrivarci sia faticoso e non facile”, questa sono io.
“Ma dai, non è terribile…”, questi gli altri, gli impavidi (per me).
Che poi detta così non è esattamente incoraggiante.
Pertanto Cala Nikà mi ha atteso, ma è stato un attendersi reciproco, per un tempo troppo lungo.
Inversamente proporzionale, nella sua lunghezza, ai racconti sulla durata del percorso da affrontare.

Ormai chi mi conosce sa che cado in piano, che il coordinamento motorio non è il mio forte, che sono capace di incespicare sui miei piedi, di aggrovigliarmi su me stessa precipitando senza neanche tanta furia, ma così come sono, con la lentezza che mi contraddistingue.
Però quest’anno ho comprato delle scarpe da hiking che neanche ad attendermi ci fosse stato il Nepal.
E forte del fatto che con le scarpe giuste si può arrivare dappertutto ho deciso che l’attesa era finita, così l’altro giorno sono andata a Cala Nikà.

Posto che il mio abbigliamento (per quanto stessi andando al mare) era d’alta montagna e c’erano 23°, pertanto ai primi sette passi in discesa ero già sudata, umidiccia e coi pori dilatati, poi guardavo il sentiero con tutto il sospetto che la “leggenda” gli aveva attribuito.
Di fatto, la strada è praticabilissima (soprattutto se gattoni…SCHERZO!) e benché io sia arrivata coi muscoli contratti come se avessi fatto la Ferrata Tabaretta, non sono stati rilevati né scivoloni né avvitamenti né accartocciamenti su me stessa.

Presa dalla foga ho fatto anche uno splendido bagno (era solo il 6 maggio!).
Mi sono stesa al sole che gli scogli sono piatti e non faceva caldo, un bel venticello fumava la mia sigaretta.
Entusiasta delle mie abilità mi sono pure arrampicata sugli scogli per arrivare quanto più vicina possibile al versante dove l’acqua è a 38° gradi, ma chi era con me mi ha sconsigliato di fare la prodezza di passare dall’acqua calda all’acqua particolarmente fredda di questo periodo dell’anno.

Con entusiasmo ho intrapreso la strada del ritorno, spogliandomi prudentemente di qualche strato, e soltanto un paio di volte ho pensato che mi sarebbe piaciuto un bell’impianto di risalita o il dorso di un cammello.
Di fatto spezzato il fiato e nessuna gamba e ho portato a compimento anche la salita senza riportare fratture o lacerazioni.
Certo, fumare non aiuta.

All’indomani soltanto un po’ di acido lattico negli arti inferiori.
Ma tenete conto che chi narra sono io: l’hiker più imbranata del globo che cederebbe alle tesi “terrapiattiste” se solo contemplassero la possibilità della totale inesistenza anche solo di dossi e cunette e il termine stesso, nel suo significato vero e proprio, intendesse che la terra è PIATTA, ma nel senso di LISCIA.

Questo è il mio racconto della mia passeggiata (è il caso di dirlo) a Cala Nikà che adesso attende voi.
Io ci torno e se alla prossima qualcuno volesse unirsi a me ormai (e sento di poterlo dire con fierezza) posso pure farvi da guida.
L’importante è che non mi chiediate mai informazioni circa l’abbigliamento, ché quello lo sbaglio di regola.

P.S. La foto l’ho fatta dal Dammuso Flinstones, non c’entra niente con quanto scritto sopra ma mi piace e l’ho messa.

 
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