Pantelleria, coste come merletti

Pantelleria, coste come merletti

Io la immagino la costa di Pantelleria, come se fosse davanti i miei occhi.
Una specie di merletto, ricamato da una divinità distratta, di cui vedo i contorni: l’acqua che entra con prepotenza dentro il porto di Scauri, le onde che sbattono forte su Punta Fram.
Dall’alto della perimetrale vedo schiumare la Martingana e la risacca veloce che si fa strada dentro il porticciolo di Gadir, facendo capolino tra le pozze di acque calde.

Riesco ad immaginare la nebbia sulla punta di Montagna Grande e l’anello regale che circonda il Gibele a incoronarlo Re di questa misteriosa bellezza.
Ho davanti ai miei occhi la pace dello Specchio di Venere, mentre riposa e si rigenera dall’estate.
La pioggia lo ha privato di un po’ di salinità.
Riflette, nella sua calma, le nuvole grigie dell’inverno.
La battigia è più corta e la striscia di sabbia ne segue i contorni come una cornice.
Giace come cosa preziosa, ma abbandonata, da ritrovare quando stagione e bagnanti ne ricorderanno la GRANDE BELLEZZA.

Immaginare questo scoglio, a metà tra Vulcano aspro e verde Paradiso, è uno sforzo.
Immaginare Pantelleria da lontano ha poco a che fare con l’umano, molto di più che altri posti sulla terra.

Perché questa isola si nasconde anche mentre la percorri, tra strade e sentieri, tra vitigni e mare, tra cappereti e uliveti.
Ritrosa, scontrosa, irritabile se la trascuri, fascinosa e fiera non ti consente un solo attimo di essere posseduta, piuttosto fa il pieno di te.
Rilascia energia ma ne pretende indietro altrettanta.
Carburante prezioso quello che esala dalla sua terra, ti sembra di averne fatto il pieno ma già a febbraio hai il fiato corto.

Non ti resta che contare i giorni, saltando i sabati e le domeniche, come fosse lavoro.
Sono pochi ormai, per chi ci vuole credere.

Foto di Giovanni Matta

 
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