Avventure nel mare di Pantelleria

Avventure nel mare di Pantelleria

La desideravo che la desideravo.
Da anni la guardavo con smania la mia sacca a tenuta stagna.
Snorkelling a go go e dentro vi avrei riposto il mio panino, il telo, il cellulare e piccoli generi di comfort.
Mi sono pure informata con diversi rivenditori e, in tutta onestà, tutte le volte che ho posto loro la fatidica domanda: “Ma e veramente a tenuta stagna?”.
Ciascuno, a seconda della propria indole ha cominciato chi a fare smorfie, chi a contorcersi, chi a dire che “sinceramente, sì, così è scritto, ma io non l’ho provata, pertanto non mi fiderei granché”.

Non fosse che questo Natale, chi mi conosce bene, non ha resistito alla tentazione di regalarmela
(comprandone, ovviamente, una anche per sé, perché bisogna sempre essere complici delle altrui bestialità).
Così, adesso, ho la mia tanto desiderata sacca e benché piccola l’ho già suddivisa in quartieri e distretti perché possa contenervi tutto l’indispensabile senza però appesantire la mia schiena, spingendomi pertanto in uno studio minuzioso sulla distribuzione dei pesi per rendere agevole la bracciata e fare sì che io possa muovermi con agilità tra i flutti e raggiunta la desiderata caletta, arrampicarmi su uno scoglio, con l’aplomb da climber che da sempre mi contraddistingue (che al netto di tutto significa due o tre lacerazioni del ginocchio e tre torsioni della caviglia destra) per godermi paesaggio e comfort da quel punto, altrimenti irraggiungibile se non con barca a motore.
Ma volete mettere il gusto e il piacere dell’avventura?

Ora io lo so che tutto questo attiene al mondo dei sogni e non alla ben più misera realtà e, pertanto, vi elenco le ragioni per cui tutto questo attiene alla versione immaginaria del famoso “Mondo di Claudie” (le citazioni cinematografiche io le spreco):
perché dopo venti bracciate sarò stanca come una bestia e cercherò disperatamente di tornare indietro mentre, tra peso e stanchezza, arrancherò dentro quei cinque metri di corrente avversa che ad un tratto faranno sì che io gridi AIUTO.
Perché dopo avere studiato con minuzia pesi e misure, manco stessi imbarcando passeggeri dentro un Boeing 747, so per certo che alla seconda volta che farò la sacca (ammesso che la prima traversata tutto fili liscio) infilerò tutto quanto a casaccio come stessi farcendo un tacchino;
perché, con ogni probabilità, dopo la prima uscita in mare avrò così tanti dolori alle ernie lombari che la sola vista della sacca mi produrrà la nausea;
perché se non alla prima, magari, alla seconda o, forse e se sono fortunata, alla terza volta che uscirò in mare col mio zainetto a tenuta stagna non appena arrivata allo scoglio con cui avevo amoreggiato da anni aprirò il mio zainetto e troverò il cellulare con tutti i pixel annacquati e da raccogliere uno ad uno, il panino morso dai pesci e il telo inzuppato che userò come zavorra per ancorarmi allo scoglio e chiedere ancora, e per l’ultima volta “AIUTOOOOO!”.

 
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