L’epica Pantelleria

L’epica Pantelleria

«Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi:
navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione,
e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser.
E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo,
come lacrime nella pioggia.”

Qualcosa resiste, seppure come ricordo sbiadito, veduto allontanarsi su natanti che hanno varcato lo stretto canale che intreccia, in una filiera di cordoli spumeggianti, Pantelleria alla Sicilia degli “invasi”, alla Sicilia di un passato che torna, come certe arancine al ragù, bastioni anche loro e contesa perenne tra un Oriente e un Occidente che non troveranno mai una resa dentro ad uno iato impossibile.

Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi:
ho visto donne altere, belle, fiere dentro un copri sole fatto di nettare e seta, scendere verso Cala Nikà in infradito coi tacchi, destreggiarsi tra una torsione di una filiforme caviglia e recuperare il contegno che solo sul volto pallido di una nobildonna appare, se compiaciuta del suo pallido incarnato o dentro alle fitte di un dolore lancinante che ricorda quello di certi legami (o legamenti) oramai perduti.

Ho incontrato uomini imbarcarsi sui carghi alati, alla volta dell’Isola Nera, facendo bella mostra di improbabili cappellini pronti a spiccare il loro vero “primo volo”; uomini innocenti, magari confusi, tra la grana fine della sabbia di un adriatico che confonde sirene e polene, mare e atavica mucillagine, trionfanti di avere portato con loro l’arma che brandiranno contro la noia pomeridiana, lo svolazzante e inarrestabile mazzo di carte.

Ho visto gli stessi giovani coraggiosi e ribelli, fieri come guerrieri, trascinare, come vessillo di pace e riposo, ombrelloni colorati lungo impervi sentieri, li ho visti ingenui e fiduciosi, dentro giornate di un maestoso Maestrale, inseguire con ardore, incuranti delle ferite lacero contuse, il mirabolante volo roteante di un ombrellone che non si è mai più fermato, vascello di speranza, fino alle più prossime coste dell’antica Cartagine.

Ho visto audaci divinità dai piedi alati, come Ermes, veloci e impavidi saltare da un tagliente e infido costone, volteggiare tra pietre franose, librarsi con accesa fantasia e, infine, tronfi planare su un piano verdastro, specchiato, ingannevole e lucente di una roccia levigata dal mare, ricoperta dal un verde cristallino che acceca e riluce, tendendo muscoli e nervi nel supremo sforzo di recuperare l’equilibrio e un dignitoso contegno.

Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginare… 

 
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