Pantelleria, il Dammuso Faraglione narra.

Pantelleria, il Dammuso Faraglione narra.

Sono io che narro, un Dammuso.
Faraglione è il mio nome, lor signori, ma non lasciatevi distrarre soltanto da quegli speroni di roccia conficcati ad un palmo da me.
Di me si tratta, di me si parla oggi e che mi si perdoni il linguaggio che vi apparrà appena decadente, ma sono anziano, miei signori, sono stato financo un rudere e se mi è stata restituita una dignità in essere, in quanto soggetto che possa ospitare vite umane, ecco, la mia disponibilità è stata data.
Ma che mai la si confonda con il mio essere Faraglione e dammuso, nella mia più profonda ed orgogliosa essenza.

Or vengo e mi spiego, si potrebbe ben pensare che io mi stia qui seduto a non far niente e a trascorrere le mie giornate in una noia insipida, ma questo è quanto di più sbagliato la vostra mente possa ritenere. Perché queste giornate, che a voi esseri umani, potranno sembrare immote sono, altresì, fatte di moto continuo.
Dall’ovale delle mie finestre è un andirivieni di barche e capricciose onde, è il pipistrello che batte continuo sulla tettoia del patio, sono le fronde degli alberi che si inclinano a seconda della brezza.
E ve lo assicuro, miei cari, nessun giorno è uguale all’altro da quando mi hanno eretto, pietra su pietra.
Aggiungo che, alla mia rinascita e diventato financo oste, dalle mie mura sono passate tante vite, ciascuna a suo modo diversa. Non tutte degne di nota, ovviamente, ma di vite si tratta, pertanto tutte sempre degne di rispetto.

E ho visto paludi di dissapori, primavere e inverni di sentimenti, fioccare di vanità e anche stipsi acute o flatulenze che, avessi potuto farlo da me, avrei aperto porte e finestre.
Inoltre ho attraversato altre amenità che non importa nemmeno enarrare, poiché di codeste nessuno ha bisogno, in quanto la vita di ciascuno ne è piena e feconda.

Ma ho anche sentito parlare lingue che avevano il suono duro delle rocce che ho innanzi, altre che somigliavano al canto del merlo, altre ancora che facevano lo stesso rumore che mi arriva da lontano quando il mare ondoso rovina sugli scogli.
E a me, che sono roccia, simile quel tanto che basta a quei monumenti in pietra che ho innanzi, di quel suono e di quel fragore mi beo.

Faraglione, viene dal catalano FARALL ma prima ancora dal greco, si dice, PHARALION ossia “biancheggiante di spuma”.
Da un tempo che resiste al tempo e che mi ha riconosciuto le molte vite che nemmeno io conosco, forse, io sono soltanto questo, il posto dal quale guardare la “biancheggiante spuma”.
Senza mai pensare che lo spettacolo sia lo stesso di ieri, poiché la “biancheggiante spuma” ogni istante si infrange di un modo diverso, cosicché ai miei occhi è sempre nuova e immensa meraviglia.

Foto di Giovanni Matta

 
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