Una “overthinker” a Pantelleria

Una “overthinker” a Pantelleria

Oggi li chiamano OVERTHINKER.
Sono i pensatori “ossessivi”.
L’ho messa brutta, lo so.
Ma credo di fare parte della “dannata schiera”.
Sarà che gli inglesismi fanno meno impressione ma se il succo è quello puoi allungarlo o stringerlo la quantità è quella e cambia solo la densità.
Mi domando poi chi oggi non si ritrovi “schiacciato” dentro questa definizione.
Questa come un’altra.
Tanto, vero o falso che sia, di etichette ne abbiamo inventate così tante che, almeno una ( se non di più) ti sta addosso come il più ganzo dei tuoi abiti.
Che poi pensare troppo, è vero, fa male. Ma non pensare per nulla mica fa tanto bene.

Io sono una OVERTHINKER.
Una che ha sempre la testa da qualche altra parte.
Mastico pensieri, concetti, mi inerpico in elucubrazioni spassose o terribilmente noiose.
Sono una di quelle che si imbarca sempre nella ricerca di una soluzione, costruisco diagrammi di flusso, li smonto e pianto “alberi” nel mio cervello.
Sommo, divido, implodo e esplodo.

E proprio quando sento che il diagramma si approssima alla lunghezza della Torah è allora che, se sono a Pantelleria, prendo la macchina e vado in un posto.
Uno.
Uno dei tanti.
Che può essere il porticciolo di Scauri oppure nella Serraglia in quella piccola macchia che nasconde le tombe puniche o a margine di qualche infinito terrazzamento tra viti e capperi.
Altrimenti scappo dentro il minuscolo borgo di Sibà che mi contiene tutta.
Sennò, semplicemente, vado a fare un bagno a mare che ad ogni bracciata sciolgo un nodo.
Insomma, io a Pantelleria sono una OVERTHINKER felice perché il solo guardare il geco, a ventosa sul muro, pronto a scattare per catturare la sua preda mi inganna.

Oppure, non so, mi incanta.

 
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