Il Dammuso Cuddia é anche casa mia

Il Dammuso Cuddia é anche casa mia

Il viaggio è stato faticoso e i tre non hanno mai smesso di litigare.

Alla partenza avevamo già deciso che in aereo non avrebbero potuto viaggiare vicini, il patto era stato chiaro: io ne tengo due e tu uno e ci saremmo intercambiati nei limiti del possibile.

“E dammi il videogioco, levati dal mezzo, puzzi come un caprone, se ti tiro i capelli che fai lo dici a mamma?”. Anatemi, sfide, linciaggi, baruffe.

Dall’altro lato del campo di battaglia NOI, a redarguire, minacciare, sedare, promettere e separare.

L’arrivo a Cuddia ci ha visti trafelati, la casa ci aspettava dall’anno scorso, ma un anno in più è una cosa, un anno dopo è un’altra, un loro anno in più è una nuova dimensione.

Per fortuna, quanto meno, erano padroni dell’ambiente: è stato difficile separarli nell’ultima lotta varcata la soglia di casa, ma poi hanno riposto le loro cose dove avevano imparato, lasciato qualche indumento in giro e poi si sono lanciati in piscina. Non hanno smesso di vociare ma, almeno, ridevano. Al chiasso violento si era sostituito quello festoso.

Noi due ci guardavamo come soldati sul fronte che sanno che, in qualsiasi momento, potrebbe arrivare una granata. Nel frattempo riponevamo la roba, il cibo nella dispensa, il fresco in frigo, e i braccioli della più piccola in freezer (soltanto a fine vacanza li abbiamo ritrovati)!

Poi esiste un gusto tutto suo nel riconoscersi tra cose che sono state nostre anche solo per quindici giorni della nostra vita e, smaltito il grosso del lavoro, io ho trovato il mio posto sul divano vicino la tettoia, lui si è tuffato in mezzo a loro, bambino tra i bambini, litigioso e scomposto, a schizzare d’acqua uno, far scivolare dalle spalle l’altro, con la più piccola aggrappata al suo petto come un marsupiale.

Idratati, asciutti e rifocillati erano così stanchi da non avere nemmeno voglia di rivolgersi la parola: il grande disteso sul divano a far finta di leggere, il medio ancora in cerca di qualcosa da sgranocchiare e la piccola, ai piedi del terrazzo ad impastare terra e dare acqua alle piante.

Ed è stato allora che il mio compagno di corazzata mi ha preso per mano e mi ha accompagnata sulla terrazza dalla quale, tra gli alberi, si apre la vista, con nessuna parola mi ha indicato la mia sdraio e si è adagiato su quella vicino alla mia.

Per un lungo tempo, difficile da quantificare, siamo soltanto rimasti in silenzio.

Foto di Giovanni Matta