Memorie senza confini: un viaggio a Pantelleria oltre le fotografie

Memorie senza confini: un viaggio a Pantelleria oltre le fotografie

“Ho liberato spazio nella memoria”, gli comunica mentre lui è fuori.
Non c’è neanche bisogno di dirlo ad alta voce tale è il silenzio intorno.
Lui, disteso nella sua amaca, in posizione quasi fetale, dentro ad un riposo che è fatto di spalle arrossate e il naso che sembra un semaforo le chiede: “Hai messo tutte le foto di Pantelleria nell’hard disk esterno?”.
Stessa voce, come se si parlassero l’uno accanto all’altra.
Lei è in cucina, invece, mentre lui stanco di mare le ha ceduto il ruolo di cuoca, “Ma solo per questa sera!”, ha precisato.

Lei si fa una sonora risata.
Questa, sì è sonora.
E lui dalla sua amaca non capisce cosa deve aver detto di così ridicolo.
Quando lei arriva che ancora sorride mentre gli poggia una mano in fronte per saggiarne il calore, preoccupata di un’insolazione, con tutta la dolcezza e la meraviglia che conosce comincia: “La ricordi la strada che oggi abbiamo fatto per arrivare DIETRO L’ISOLA? Quella che da Rekhale, attraverso curve dolci e a gomito, tra tombe puniche, cappereti e vigneti ci ha portato fini al laghetto delle ondine?”.
Non attende che lui risponda.
Prosegue: “Ricordi il laghetto, i piccoli granchi, i pesci piccoli e quasi trasparenti che si nascondevano appena affondato il piede? Ricordi la murena poggiata sul fondale, immobile e vestita di tutti quei colori raccolti uno ad uno tra scogli e vegetazione, diligentemente nascosta, scovata a mala pena mentre la maschera quasi si appannava e tu che mi toccavi e indicavi e facevi quei buffi rumori che uscivano dal tubo e poi io, stupida, dopo averla vista ho tirato la testa fuori dall’acqua e ho esultato con voce nasale “VISTA, VISTA”, mentre tu con un dito sul silicone della maschera mi facevi cenno di tacere, di non disturbare.
Lo ricordi tutto questo? E la ricordi quella strada dell’entroterra che, improvvisamente, impenna e hai davanti la palla arancio del sole e neanche vedi il mare e ti sembra che la tua auto possa solo tuffarsi dentro a tutti quei colori. Ricordi anche questo?”.

Lui, con gli occhi un tantino sgranati, in un misto di incredulità e preoccupazione, le dice piano come se non volesse svegliarla da un sonno troppo profondo, le dice: “Tesoro, io ricordo ognuna di queste scene che mi hai raccontato, ma nessuna di queste è stata fotografata. Ricordi tu, invece, che stamani abbiamo volutamente lasciato a casa i nostri cellulari?”.
Lei gli carezza i capelli ancora umidi, si cala per dargli un bacio sottile sulle labbra e risponde:
“Ho fatto anche il backup se è per questo” e adesso ride “ma solo dopo avere buttato nel “cestino” tutta l’ansia dell’inverno, i conti che non tornano e le bollette scadute insieme all’ansia del rientro.
Poi ho riposto sul disco fisso che è la mia memoria tutto quello di cui ti ho parlato che adesso è al sicuro.
Sono certa di avere messo in salvo queste immagini per noi due e per i nostri figli al rientro dal nostro viaggio a Pantelleria.
Te lo avevo detto che lasciare i cellulari a casa sarebbe stato un bene”.

Nel frattempo lui già si è tirato fuori da quella specie di uovo che era diventata l’amaca e senza che nemmeno lei se ne fosse accorta, da tempo, la stava stringendo forte al suo petto.

Foto di Claudia Picciotto

 
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